mercoledì 6 giugno 2018

Empire State of Mind

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Questo delirio è partito all'incirca 13 mesi fa, quando è venuta fuori la notizia che Chris avrebbe debuttato a teatro a Broadway (click).



La mia mente malata stava già iniziando ad elaborare piani sul come fare ad attraversare l'oceano Atlantico. All'epoca avevo ancora un lavoro di merda, con una paga di merda, che a malapena mi consentiva di pagare l'affitto e di sfamarmi. Escludendo a priori l'opzione prostituzione per trovare i soldi, la situazione era piuttosto disperata.
Ma contrariamente alla mia consuetudine del #maiunagioia, di lì a poco cambio lavoro, con paga decente e addirittura a fine agosto ottengo la mia prima carta di credito ever e dopo aver trovato anche una compagna di viaggio vedo che i miei piani malefici si possono concretizzare. E inizio a cagarmi addosso dall'ansia.



Prendo a tempestare di messaggi privati via Facebbok il teatro per avere notizie sulla prevendita dei biglietti, mi iscrivo a qualsiasi newsletter/alert/chesoio su Broadway perché ho il terrore di perdermi la data e dunque la possibilità di comprarne uno. Tutto ciò perché convinta che sia un massacro in stile Hunger Games come per i concerti.

Sia benedetto il Social Media Manager di Second Stage Theatre ora e sempre,  dal teatro mi avvisano che si aprirà una prevendita per i possessori di AmEx (hey, sono qui) a metà Novembre e che la prevendita per il pubblico si aprirà later in December.

E la prima crisi arriva, appunto, a metà Novembre. Durante la mia settimana di ferie, nei panni di Cicerone per la mia amica M., che viene a Londra per la prima volta e per vedere Natalie Dormer a teatro (ho un filo di dejà-vu), invece di andare a fare le turiste serie, la trascino nel mio posto di lavoro, mi attacco ad uno dei computer in demo per i clienti e inizio a collegarmi al link che mi è stato gentilmente (o solo a seguito di esasperazione) mandato via Fb.  Di problemi a reperire i biglietti non ce ne sono, il vero problema sono i prezzi. Cifre veramente allucinanti. Sono in preda al panico, letteralmente sdraiata per terra sul pavimento del posto in cui mi reco 38 ore a settimana, con alcuni colleghi che mi fanno aria e M. che si dispera per me.
Abbandono momentaneamente l'idea di comprare subito il biglietto, aspettiamo la prevendita generale, mi dico ingenuamente, sperando di trovare qualcosa a meno.
Tutti mi dicono di star tranquilla, che troverò qualcosa a meno all'ultimo minuto ai botteghini intorno a Times Square. Ma io, che mi nutro di pane e ansia e la tranquillità la trovo al massimo nel dizionario, inizio a grattare la psoriasi che ho dietro la testa.
Un buco nell'acqua anche a dicembre. I prezzi sono assolutamente identici e per di più la disponibilità inizia a calare.

Arriva Natale, l'ansia mi divora e io divoro anche le gambe del tavolo e si vede.
Ma ho la testa di granito, si procede a prenotare il volo e poco dopo un delizioso Airbnb nell'East Village a Manhattan, una favolosa botta di deretano che si rivelerà la prenotazione più sculata della storia.


A fine Febbraio mi decido. La vita è una, le gioie sono pari a zero, sapete che vi dico? Io mi compro un biglietto e il più vicino possibile al palco. E mentre tutti i miei colleghi diventano pazzi a prenotare l'ultimo gingillo prodotto dal frutto del peccato originale io spendo quei soldi per comprare le chiavi di un sogno. La prima volta a New York, la prima volta a Broadway, la prima volta Evans a teatro, a recitare. Dal vivo.

Il 1 Marzo iniziano le anteprime dello spettacolo, con l'inizio ufficiale il 26 Marzo. Lo spettacolo finisce il 13 Maggio e di mezzo c'è la promozione di Avengers: Infinity War.
Io ho calcolato al minuto le ipotesi di: maltempo, vacanze di Pasqua e ipotetica assenza dalla play per gli impegni Marveliani, la scelta della data è caduta sul 10 Maggio. Giusto per star tranquilli.

Due mesi di inferno, facendomi venire paranoie di ogni genere: sono arrivata a passare un intero pomeriggio sul sito del TSA (Transportation Security Administration, l'ente che regola l'accesso negli Stati Uniti) perché nella mia foto del passaporto ho gli occhiali e quando ho scoperto che ora non è concesso averli mi è presa una sincope. (Per rassicurarvi: è obbligatorio tirare via gli occhiali nei passaporti emessi a partire dal 2016, il mio è stato emesso nel 2009, direi che sto abbondantemente al di fuori dei termini), il terrore che l'host dell'Airbnb cancellasse la prenotazione all'ultimo, che a Chris venisse la cagarella e che cancellasse la performance il giorno per cui ho comprato il biglietto. Insomma, una vita spensierata la mia.


E giuro, più si avvicina la data di partenza più l'ansia mi assale. Ho toccato vette di isteria repressa che mai nella vita, o forse solo la mattina della mia laurea specialistica (quella neanche tanto repressa, visto che ho vomitato anche i succhi gastrici che avevo esaurito). 

Arriva il giorno della partenza e appena metto piede sull'aereo inizio a piangere come una deficiente. Ovviamente non succede solo ed esclusivamente per l'imminente incontro col marito immaginario, ma questo è un viaggio che sogno da che ho memoria. Sì, sono una piccola, vecchia, banalissima scimunita che sogna il viaggio Oltreoceano da una vita. Ho aspettato tanto, ma ce l'ho fatta. 

Io e la mia compagna di viaggio arriviamo in una New York soleggiata e caldina, non posso sperare di meglio.

Riesco a trattenermi dal fiondarmi davanti al teatro solo perché era il giorno off della play (sì, dopo quattro ore di attesa in aeroporto, sette di volo, due di controlli e una per arrivare alla meta avevo le energie per mettermi a cercarlo, ma sì, in fondo ho un minimo di buon senso anche io, nascosto in fondo chissà dove).



Nonostante il giorno della play sia il giovedì, è il martedì che raggiungo livelli di delirio. Ho una scusa plausibile per approcciarmi al teatro: devo andare a ritirare il biglietto al box office. Il fatto che abbia dedotto che le poche selfie con i fan uscite sul web siano state scattate prima della play non ha niente a che fare, no, no. 
Davanti al teatro, ci resto giusto il tempo necessario per farmi riconoscere dalla sicurezza. Giuro che non ho fatto niente di che. Solo aspettare. Giuro e spergiuro.
E sto talmente poco in ansia che il tizio che si fuma una canna all'angolo della strada, quando Fede cerca di farmi respirare un po' di aria calmante, crede che vogliamo fare "acquisti".


Tutto normale, no? Almeno una foto con lui me la sono assicurata. 

E niente, si fa mezz'ora prima della play e un SUV nero sospetto si avvicina pericolosamente al marciapiede, mi sento letteralmente mancare l'aria e i BPM se ne vanno a farsi strabenedire. 
Eccolo lì, maglietta grigia a mezza manica, cappelletto ben pigiato sulla testa e baffo malefico.
Faccio fatica a far uscire un "Chris" dalla gola che uno dei poliziotti che erano arrivati poco prima, mi placca manco fossi un terrorista dell'ISIS pronto a farsi saltare in aria in mezzo alla folla. Lui abbassa la testa e sparisce dietro la porta.
È in quel momento che realizzo che neanche stavolta non avrò l'onore di dirgli mezza parola o farmici una foto assieme. 
E ovviamente parte quello che non doveva partire. 
Una crisi isterica/di pianto di livello epocale. Non che abbia fatto scene particolarmente drammatiche o degne della commedia partenopea: mi sono appallottolata su me stessa su un gradino e ho iniziato a piangere e a sconnettermi totalmente dal resto del mondo. Con la Fede che mi parla e che io non riesco a sentire/recepire/rispondere. E niente. Il disagio scorre potente dentro di lei. (semicit.)
Dopo quanto? Circa venti minuti, cerco di ricompormi. È dura.
Il tempo di farmela, più o meno passare, tradotto in: un giro per Times Square, cibo da ingurgitare e siamo di nuovo punto e da capo, sulla 42ma West. 


Questa cosa è veramente comica. È l'emblema del mio rapporto con Evans, è arrivata pure la cavalleria, ma io non mi fermo.

E infatti... per mantenersi coerenti al #maiunagioia, non posso neanche stare in transenna, perché a quanto pare solo i possessori del biglietto del giorno stesso possono aspettare alla stage door.
Quindi, tanto per cambiare, ammiriamolo da lontano. Però, ecco, lo vedo uscire dal teatro con Paul Rudd, posso permettermi di lamentarmi? Magari anche no.

Viva la vida

Il mercoledì cerco di tenermi lontana dalla 42ma strada, però non mi tengo affatto lontana dall'ipotetica zona di alloggio del nostro amico. Non che io abbia passato un pomeriggio intero ad analizzare le foto paparazzate in combo con Google Maps, prima di partire, ma quando mai. No, no.
Non è mica vero che ho trovato i posti precisi dove quelle foto sono state scattate. E no, non ho speso 8 dollari per un succo di frutta nel posto dove si suppone facesse rifornimento Lui. No, cosa mai andate a pensare.

Però il succo era buono

Tutte allucinazioni.


Arriva anche giovedì. Per mantenermi calma, alla mattina si va in uno dei posti che ho sempre desiderato visitare da una vita: il Museum of Modern Art. Prova estrema: se riesco a sopravvivere a Pollock, a Kandinskij e alla Notte Stellata di Van Gogh posso anche farcela a vedere Evans a teatro, insomma.

Si arriva con tempestivo anticipo, vedi mai che arriva qualcuno. Fun fact, appena io e Fede arriviamo, la security decide di mettere un'altra transenna e cerca di chiuderci in quell'area. Nonostante ci sia gente già da prima di noi, niente, ormai mi conoscono anche lì.



Neanche dieci minuti che qualcuno arriva e fa lo gnorri. La cosa non mi stupisce e mi avvio all'interno del teatro. Naturalmente sono la prima fessa ad arrivare e aspetto al bar da sola e overdressed. Ne frattempo decido anche di regalare altri 20 dollari per un poster.




Fortunatamente le due pastiglie di valeriana, gentilmente fornite da una delle mie coinquiline, ingollate poco prima fanno il loro sporco lavoro. Sono agitata, ma tutto sotto controllo. 
Sono ad uno sputo dal palco, cosa voglio di più?
Beh, arriva il momento ed esce Lui. Praticamente recita per tutto il tempo dal mio lato e io sono in brodo di giuggiole. Durante una delle scene ho seriamente paura delle mie reazioni, che non scrivo qui pubblicamente perché, non sembrerebbe, ma ho ancora un briciolo di dignità.

Opinioni sullo spettacolo: divertente, veloce. Due ore e passa sono volate via, tutti quanti sono estremamente bravi e Lui è Lui ed è fantastico e io sono ancora più incazzata perché non ha ricevuto nessuna nomination ai Tony Awards. Avrò speso una marea di soldi per il biglietto, ma decisamente ne è valsa la pena.

Finisce la play e io cerco di catapultarmi fuori, ma naturalmente vengo imbottigliata in mezzo ai vecchietti che non hanno certamente alcuna fretta di uscire per andare a fare la stage door. Risultato: i posti sono già belli che presi. E come se non bastasse, poco prima è venuto giù il diluvio universale quindi ho cercato di starmene sotto la tettoia per non infracicarmi male. Fortunatamente ho trovato davanti a me due ragazze che mi hanno permesso di allungare un braccio quando lui è passato e sono riuscita a fargli firmare il mio Playbill.


Anzi, quando è tornato indietro sono addirittura riuscita a lasciargli la bustina con le lettere e i disegni che mi erano arrivati da Chris Evans Italy per lui. Ed è lì che ho fatto una cosa di cui mi sono pentita ma allo stesso tempo no. Ho un brutto vizio, mi capita spesso, quando ringrazio qualcuno, di accarezzargli il braccio.
Quindi, da brava bestia quale sono, ho fatto esattamente così anche con lui. Ho toccato il suo braccio. Indossa una maglietta a mezza manica. Delirio. Lì per lì ho iniziato ad autobestemmiarmi le peggio cose, perché ho invaso il suo spazio personale. Nel frattempo è arrivata un'altra Federica al salvataggio e mi trova con la mano destra che tiene quella sinistra e io che mi urlo contro. Dopo un attento convincimento, entrambe le Fere riescono a ficcarmi in testa che a. non l'ho fatto apposta b. gli ho toccato un braccio e non il culo c. non mi odia per questo.
Ovviamente dopo essermi convinta che non l'ho ucciso ho iniziato a baciarmi la mano come una vera demente e a farci battute chiamiamole idiote per esser buoni.


Dopo tutto questo delirio e non smetterò mai di ringraziare le due omonime per essere state vicine a me senza fuggire via in uno dei momenti più bassi che abbia mai potuto toccare in vita mia, è giunta l'ora di cenare. E soltanto alle undici passate di sera ci gustiamo uno dei ramen più buoni (non è vero, è stato il mio primo ramen, ma il brodo di pollo era VERAMENTE brodo di pollo).

Il resto della vacanza fila liscio, a parte la tosse immane che mi tormenta, specialmente la notte dopo lo spettacolo, non sono riuscita a chiudere occhio e ve lo giuro, giurissimo che è solo colpa della tosse. 

È stata una delle esperienze più belle della mia vita, New York non mi ha affatto delusa e conto i giorni per tornarci di nuovo. Ormai da quasi un mese è il mio pensiero fisso. Non so che darei per poter avere l'occasione di viverci, probabilmente dopo la detesterei. Ma who cares. 

Ho un ultimo sprazzo di visuale del signorino alla domenica, l'ultimo giorno dello spettacolo. Sono andata lì giusto per vederlo e poi avere la scusa per ingozzarmi da Junior's lì di fronte.

Me lo meritavo un Grilled Cheese così, dite la verità

L'ultima colazione e passeggiata newyorkese avvengono nel quartiere maledetto. Potremmo aver incrociato Sebastian Stan per strada. Potremmo averlo seguito per svariati isolati. Potrei essermi fatta beccare ad indicare un cane che passava di fianco a lui mentre stava fuori da un grocery store. Potrei avergli scattato una foto mentre lo seguivo. Potrei. Potremmo.
La foto non verrà mai messa online, quindi chi lo sa se è vero o no. Ma questa è un'altra storia.
















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